Nei giorni successivi ad ogni competizione spesso riaffiorano nella mente veri e propri flashback della gara. Immagini che inconsciamente vengono scolpite nella nostra memoria. Non sempre sono momenti importanti come potrebbe essere l’arrivo o la partenza o il momento in cui decidi di cambiare passo.
Spesso la rievocazione nella nostra testa ci porta a ricordare un attimo “inutile” o qualcosa che all’inutilità molto si avvicina.
Il ricordo più nitido del mio 70.3 a Pescara è un secchio pieno di ghiaccio. Io, fermo davanti a questo contenitore di plastica pieno di acqua e di una specie di granita ghiacciata senza sciroppo, che mi chiedo se riuscirò a ripartire. Sono brevi istanti ricchi di pensieri inutili “domani a quest’ora sto tornando a casa”, “devo ricordarmi di mettere quella mensola”, “cavolo, devo pagare la cartella di Equitalia”. Nulla che abbia a che fare con la gara. In uno stato di semi coscienza, vedo un mondo ovattato che va al rallentatore.
Fisso la mia ombra a terra e le macchie bianche di sudore sul body e mentre gli altri mi scorrono accanto, con la coda dell’occhio guardo il cerchietto rosso della ragazza ricciolina, con la maglietta gialla dei volontari, che mi chiede se voglio della coca cola calda. Penso che avrà più o meno l’età di mia figlia Giulia.
Poi da lontano sento “muoviti cazzo!!”. E’ Fabio, lui al ristoro ci è passato correndo e mi sta aspettando venti metri più avanti. Vedo il Panda sulla sua schiena e decido di seguirlo.
Improvvisamente esco dal mondo di Paul e Nina, il tempo ricomincia a scorrere e io con lui. Sento di nuovo i rumori, come se l’ovatta dalle mie orecchie fosse caduta a terra.
Mi rimetto in corsa,da fuori non credo di avere una bella andatura, i muscoli delle gambe bruciano, ma sono tranquillo, so che arriverò al traguardo, il fatto che mi possa fermare è decisamente fuori questione. Mi manca l’ultimo passaggio sul ponte, la parte più dura della frazione run, mi metto a passo corto e scavallo sempre con Fabio al mio fianco. Il sole è a picco sulle nostre teste, il body è ormai asciutto nonostante i getti dell’acqua ai ristori e il sudore copioso, il calore è più veloce. La mia faccia è una maschera di sale e il sudore continua a colarmi negli occhi. In lontananza cominciano ad intravedersi le bandiere del Team Panda, passiamo davanti al nostro gazebo e si alza un tifo da stadio, megafoni, striscioni e tutto ciò che possa fare casino e colore. Sono fuori dal tunnel.
Fabio mi ricorda che stiamo per arrivare e m’invita a darmi una sistemata per i fotografi.
In quegli ultimi duecento metri c’è tutta la magia dello sport, di questo sport. Su quel tappeto smetti di pensare “mai più!” e cominci a dirti… “non vedo l’ora di farne un altro!!!”.